In ginocchio sui ceci o bacino sulla bua?

L'atteggiamento paternalista, altalenante fra divieti e concessioni, non è la strada migliore per impostare la risposta alla pandemia sul lungo periodo.

Nel pieno dell'emergenza si può capire: non si ha tempo per programmi di comunicazione e la risposta deve essere immediata. In più le incertezze su trasmissione dl virus, modalità di prevenzione, misure di contenimento sono tante e non ha senso perdersi in chiacchiere.

Ma dopo due anni di convivenza forzata con SARS-CoV-2 immagino che se un cittadino non ha ancora capito come prevenire l'infezione e limitare il danno che può causare il virus a sé e agli altri, non abbiamo giustificazioni.

La risposta italiana alla pandemia, numeri alla mano, è stata efficace. Ma gran parte di questa efficacia è stata fortemente legata all’applicazione di disposizioni emergenziali. Cosa succede ora che lo stato di emergenza cessa? Il rischio che passi il messaggio "finita l'emergenza, finita la pandemia" è altissimo. Il cittadino, fino ad oggi abituato a seguire diligentemente la lunga serie (complicatissima) di divieti e concessioni, come reagirà all'improvvisa mancanza di disposizioni governative?

La diffusione epidemica di un virus non cessa per decreto ministeriale. Siamo nel pieno dell'innesco di una nuova ondata, come già osservato nelle ultime settimane in diversi altri Paesi europei. E’ ragionevole interrompere lo stato di emergenza proprio ora?

Direi proprio di si, è arrivato il momento di passare ad una gestione ordinaria. Ma, se pur ordinaria, gestione deve sempre essere. Il rischio che l’ondata appena innescata possa comunque far danno esiste. Nella popolazione italiana con più di 20 anni abbiamo ben 4,8 milioni di persone mai vaccinate. Di questi, circa 2 milioni hanno 50 anni o più. A questi dobbiamo aggiungere quasi 3 milioni di ultracinquantenni che non hanno ricevuto la dose di richiamo. Nella popolazione più a rischio abbiamo dunque un bacino suscettibile potenziale di 5 milioni di cittadini. Basta e avanza per riempire nuovamente i reparti ospedalieri. Insomma, di compiti da completare - con mezzi ordinari, per carità - ce ne sono.

Abbandonare la politica del green-pass in questo scenario mi sembra improvvido. E’ l’unica misura che si è rivelata davvero efficace per far aumentare la copertura vaccinale. Lo dimostra anche il fatto che il green-pass è l’argomento che fa più imbufalire la minoranza silenziosa di imbecilli no-vax, no-mask a cui, purtroppo, una certa parte politica non resiste proprio a trattenersi dal fare l’occhiolino.

A maggior ragione, se la politica decide di abbandonare il green-pass, dobbiamo dare per persa la battaglia contro questa minoranza e dobbiamo ancora di più istaurare con la maggioranza responsabile e ragionevole del Paese un rapporto che vada molto al di là dell’approccio paternalistico.

Quelli bravi parlano di empowerment, un termine intraducibile in italiano se non con un brutto giro di parole. E’ necessario, in assenza di obblighi e divieti, dare al cittadino gli strumenti per gestire in autonomia la risposta alla minaccia espressa dal coronavirus. Il processo non è semplice e, purtroppo, andava avviato da tempo. Non è comunque troppo tardi. Man mano che il tempo passerà le ondate epidemiche si succederanno e bisognerà volta per volta far in modo che la risposta al virus sia coordinata ed armonica fra cittadini ed istituzioni. Responsabilità individuale e responsabilità collettiva partono entrambe da scelte che devono essere intimamente condivise. Ma sono purtroppo il punto d’arrivo di un processo per nulla scontato ed automatico. Se ci riuscissimo, sarebbe però una bella lezione che, attraverso la pandemia, si lascerebbe al Paese.